PRIMO AMORE

Trionfava la retorica, nel maggio del 1940, quando Sua Maestà il “Re Imperatore” inaugurò nell’area flegrea di Napoli. la mostra delle terre italiane d’oltremare.

Ascari incolonnati, bandiere al vento, statue di divinità classiche e dipinti murali di battaglie, accolsero Vittorio Emanuele III e tutti i quadri fascisti.

Al centro dell’impianto disegnato dell’architetto-ingegnere Marcello Canino, la torre del partito con vista sulla lunga fontana dell’Esedra, la cui testata venne completata da due edifici di particolare fascino. Seppure nel caso del Padiglione dell’America Latina, postumo.

Il Padiglione dell’America Latina alla mostra d’oltremare di Napoli

Era, infatti, profondamente differente il blocco realizzato da Ernesto Lapadula (l’architetto del “Colosseo quadrato” all’EUR) un parallelepipedo in muratura rivestito in pietra, rispetto all’impalcatura dal sapore razionalista che gli applicarono gli architetti Capobianco, Marsiglia e Sbriziolo per il restauro postbellico che ne stravolse l’aspetto.

 “Avevamo una «passioncella» per i primi razionalisti: Terragni, Figini e Pollini…” confessò Sbriziolo in un’intervista pubblicata su Domus nel 2005.

Amorazzi giovanili: i riferimenti alla “Casa elettrica” (1930) del binomio e alle ville sul lago del maestro comasco sono chiari. Elementi miscelati con piani sfalsati (Casa Schroeder) e reticoli alla Mies che lungo tutta la balconata, come avrebbe detto Edoardo Persico, “rigano” lo spazio.

Dall’alto: “Casa elettrica” arch. Luigi Figini e Gino Pollini – IV Triennale di Monza (1930) – Progetto per una villa sul lago (1936) – ricostruzione – arch. Giuseppe Terragni

Di Le Corbusier ginevrino (Immeuble Clartè, 1931/32) sa la facciata.

Particolare del termine della balconata

Dettagli che avvolgono il corpo natio, finché tutto si assorbe.

Capobianco, Sbriziolo e Marsiglia erano appena trentenni quando, nel 1952, la mostra ricostruita, alla presenza dei vertici della repubblica questa volta, fu inaugurata nuovamente.

Ebbero a disposizione pochi soldi ma sufficiente immaginazione per fare di un anonimo contenitore un piccolo brano di architettura modernissima che sarebbe bello visitare dall’interno, se solo fosse possibile.

L’uso, magari come spazio espositivo, ne agevolerebbe la conservazione.

Michele Capobianco, che tra i tre ebbe maggiore fortuna, maturò convinzioni esclusive, evidenti nei successivi lavori napoletani: l’edificio Decina al Parco Grifeo (1956/60), la Borsa merci (1964) e il Palazzo di Giustizia (1975) tra gli altri.

Così solidi e concreti, tanto distanti dal Padiglione dell’America latina col suo maquillage astuto e romantico: indimenticabile.

Come ogni primo amore.

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