Sosteneva Filippo Alison, architetto, designer e docente in arredamento e architettura degli interni a Napoli, scomparso nel 2015, che occorre “farsi bambini” se si vuole realizzare una stanza per bambini, studenti se bisogna pensare ad un’aula universitaria o suore per organizzare gli spazi e le attrezzature a servizio dei riti di una comunità in clausura.
“Modus” che racconta molto di Alison, classe ’30, radici nordiche ma cuore a Napoli.
Cresciuto tra gli stenti e gli entusiasmi del dopoguerra, sarà organico nell’architettura e amerà gli oggetti di Mackintosh, il suo prediletto per le comuni origini scozzesi. Emblematico e unica la Palazzina Rosa (1969-70) sul lungomare di Napoli e la sua casa-rifugio, quasi ipogea, a Nerano del 1967. Pianta alla Portoghesi, alzato Wrighitiano, uso della pietra sull’esempio di Michelucci. Un piccolo gioiello tra la china della macchia mediterranea*.
Peccato non averlo visto all’opera successivamente, quando si dedicò anima e corpo all’insegnamento (dal 1971), al design (“Compasso d’Oro” 1986 per il bollitore “Veseva” con Lino Sabattini) e alla rivisitazione, per Cassina, dei pezzi di arredo de “I Maestri”, da Le Corbusier ad Alvar Aalto, fino a Charles Mackintosh appunto. Né copie, né originali. Ma interpretazioni.
Significativi gesti d’artista restano così, i lavori che Alison compì negli ultimi quindici anni di vita.
La sintesi di un viaggio durato decenni: il coro ligneo della chiesa del Cristo Re a Napoli, gli scranni per la camera di commercio di Salerno.
E gli arredi per Ravello (2000), al quale lo legava un affetto speciale.
Negli anni in cui la cittadina di Wagner e Goethe risorgeva a nuova vita artistica, Alison ricevette l’incarico per i nuovi corpi illuminanti pubblici e per le panche. Se per quest’ultime reinterpretò in materiale lapideo il suo modello “Onda”, per i lampioni Alison estrasse dal cilindro una delicata scultura, sulle braccia della quale accomodò uno stormo di piccioni bronzei, poggiati come in contemplazione dei luoghi.
Piccioni corpulenti, mimetizzati silenti, che paiono sul punto di levarsi.
Aste a sentinella della piazza o “a bandiera” nei vicoli, custodi delle scale a precipizio sul mare.
Il “Lampione Ravello” che qualcuno definì “antistorico”, “elemento di disturbo” ed estraneo allo stile del luogo, vent’anni dopo è già parte del paesaggio. Assuefatto all’aria della costa e corroso dal clima, come ogni pezzo di famiglia.
Alison, troppo schivo per disporre didascalie, si “fece piccione” per riposarsi dal volo.
Gore Vidal, pure sedotto da Ravello, avrebbe detto: “Lo stile è sapere chi sei, cosa vuoi dire, e non importartene un fico secco”.
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*: Oggi il livello terraneo di casa Alison è una guest-house ribattezzata “La casa del piedone nero” gestita dalla figlia Aurosa (su airbnb.it).
Gli schizzi e la citazione iniziale sono tratti da: F. Alison: “Un viaggio tra le forme” Skira, 2013
Le foto a Ravello sono di Omar Borgese
La foto del “Palazzetto Rosa” è tratta da palazzidinapoli.it
Parafrasando Dante: “Nessun maggior gioia che ricordarsi del tempo infelice nell’allegria“. Dopo L’Architemario è uscito il mio secondo libro: “L’Architemario in quarantena – Prigionia oziosa di un architetto”. Il libro perfetto per dimenticare le zone rosse, arancione rafforzato, arancione e gialle . CLICCA QUI PER ORDINARLO SU AMAZON
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