L’architetto postumo concretizza molto più di quando era in vita.
E’ ammirato per il suo anticonformismo e il coraggio.
Assurge alle vette dell’immortalità attraverso entusiasti necrologi che riceve da fonti insospettabili bendisposte a perdonargli persino l’assenza di risposte agli interrogativi che ha sollevato. Tuttavia, è pur vero che occorre rassegnarsi ad una evidente, sopraggiunta, riservatezza.
Silenzio che fa da contraltare ad una certa loquacità che l’architetto ha coltivato nella terza età, laddove ha preferito manifestare, senza risparmiarsi, velenose valutazioni su amici e nemici, critici e baroni, reazionari e avanguardisti, libertini ed ideologici.
Esternazioni che gli sono valse, ancora in vita, il titolo di “grande vecchio” oppure “vecchio saggio” o, talvolta, ma solo per i detrattori, “vecchio stronzo”.
Comunque irrilevanti rispetto alla spregiudicatezza dei suoi inediti.
Nascosti in album impolverati e ripescati da vedove/i o eredi disinteressati, gli antichi schizzi progettuali, persino giovanili, dell’architetto postumo tornano d’attualità grazie a pubblicazioni di imponenti monografie dove il fascino dei suoi particolari costruttivi si eleva fino al livello della perfezione divina.
Volumi che sollecitano anche la possibile riconsiderazione degli elementi che malauguratamente sconsigliarono il compimento dei suoi progetti, poi accantonati.
Gli incompiuti, nel frattempo per contrappasso, accelerano la finitura come investiti di nuova linfa.
Alla smania di intestarsi l’opera dell’architetto postumo, si accoppia l’ansia dell’inaugurazione.
La scopertura pressoché quotidiana di targhe ricordo con epitaffi scolpiti nel marmo che sfidano l’immortalità e l’usura dei tempi, accompagna l’esistenza dell’architetto postumo.
Preziosi sono anche i suoi scritti.
La brillantezza delle osservazioni, disposte con rara raffinatezza di penna, lo colloca tra l’elite dei più fini intellettuali, pensatore tanto profetico quanto inascoltato.
La morte attira su questi vaticini attenzioni editoriali esclusive. La pubblicazione dei suoi diari scandisce ogni anniversario, arricchendosi ogni volta di nuovi scabrosi dettagli.
Contestualmente direttori di musei si accapigliano per garantirsi mostre che amano definire “personali”, dedicando all’architetto postumo riletture rigorose, in percorsi luminosissimi che terminano in sale riservatissime.
Al rimpianto si dedicano, parallelamente, scrupolosi biografi che, in un profluvio di date, snocciolano l’archeografia dell’artista, fino a ricomporre un curriculum di impareggiabile lunghezza che termina con una accorata, quanto surreale, reprimenda per la sua insufficiente tenacia nell’evitare il distacco.
Tale apoteosi finisce per collocare l’architetto postumo in un olimpo di santi laici, ove ogni peccato intollerabile in vita, viene rimosso da morto.
Tanto da suggerire ad alcuni architetti viventi di preferire la condizione di postumo, alla presente.
(omaggio a: G. Pontiggia “Lo scrittore postumo” – Le sabbie immobili, 1991)
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