Dura la vita dell’architetto visionario.
Un infinito lavoro di persuasione e tenacia. Avanguardia nelle retrovie, gavetta e riflettori annebbiati.
Bulimico di utopie, il visionario raramente siede al tavolo delle cene di gala.
Arranca sulla via, mentre altri, sorridendo, passano lampeggiando.
Disperata, sognante e malinconica, sempre a caccia di un lontanissimo futuro: se non è “malavita” questa…
La pallottola che colpì alla testa Antonio Sant’Elia (suo il manifesto dell’architettura futurista) sul fronte carsico, gli negò forse la fama.
Fortunato il visionario contemporaneo, che all’assalto di trincea sostituisce il «corpo a corpo» ideologico.
Per quanto lunga sia la stagionatura, se il talento è fertile, prima o poi il raccolto arriva.
Avranno, dunque, le macrostrutture atipiche di Aldo Loris Rossi, architetto di scuola napoletana, scomparso nel 2018, il giusto riconoscimento.
Ma non confidiamo nella disciplina classica, meglio affidarsi ad arti più inclini all’immaginazione.
Al cinema, ad esempio.
Chi non conosce la “Casa del portuale”, avveniristico edificio costruito tra il 1968 e il 1980 all’ingresso del porto in via Nuova Marina a Napoli, lo può ammirare in una delle scene simbolo di “Ammore e malavita” geniale pellicola dei Manetti Bros (quindici candidature e cinque David di Donatello nel 2018).
E’ là che si consuma il duello finale tra Ciro (Giampaolo Morelli) e gli scagnozzi del boss davanti agli occhi dell’amata Fatima (Serena Rossi).
L’architettura è sempre speranza di riscatto.
Magari di un futuro dove le armi steccano, i buoni vincono e la camorra canta. Utopia pura.
D’altronde per apprezzare un visionario ne occorre almeno un altro. Meglio due, in questo caso.
I sogni, radicali, di Loris Rossi, fatti di civiltà verticali (ispirazione Paolo Soleri) e dischi volanti capovolti (troppo facile: Fr. L. Wright) ci scaraventano in un futuro impietoso e inevitabile.
Su, sbrighiamoci col paradiso postumo!.
Prima che un nuovo visionario sorpassi a destra.
(foto tratte dal web)
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