LA ZONA GRIGIA

Ieri ho sentito dire: “domani ci chiudono”.

L’ho sentito anche l’altro ieri.

Anche oggi, in giro, si diceva: “domani ci chiudono”.

E c’è da scommetterci che domani si dirà ancora.

Da un po’ di tempo è sempre il giorno prima.

Si tratta di una sindrome strisciante e malinconica, che sfibra anche i migliori ottimismi. Crediamo di poter vivere un giorno per volta, ma in realtà nessuno è in grado di coltivare una buona speranza, anche piccola, se l’orizzonte è così breve.

Beato chi è felice senza sapere cosa lo aspetta domani.

La consolazione, giunta solo pochi giorni fa, di essere collocati in “zona gialla” è durata poco. Il sospetto che non tutti i dati fossero stati comunicati con esattezza, circola e inquieta.

Tra le nebbie delle notizie che arrivano frammentarie e contraddittorie, i pareri di decine di esperti, il pregiudizio sui cittadini colpevoli di essere infetti e l’imprudenza e la rabbia di molti altri, vaghiamo.

Così nel Risiko dei contagi, non sappiamo se augurarci che davvero la situazione della regione sia migliore di quello che sembra o che, temendo sia peggiore, ci collochino immediatamente in “zona rossa” per limitare i danni.

E così eccoci finiti in questo interminabile “giorno prima” frutto della nostra irrisolutezza. Della difficoltà a prendere decisioni valide e longeve. Il classico “navigare a vista” attraverso il quale l’Italia è governata da sempre, vittima di troppi mediocri ai posti di comando.

E noi qui: rassegnati al pensiero che stiamo facendo l’ultima passeggiata. Senza sapere quando sarà la prossima.  

Nel tempo sospeso del nostro “sabato del villaggio” al contrario, si consuma quel briciolo di entusiasmo residuo dell’estate.

Aspettando che il giorno prima diventi il giorno e basta, prendiamo l’ultimo caffè al bar, leggiamo per l’ultima volta il giornale sulla panchina. Salutiamo un amico incrociandolo per strada.

Una piccola morte senza inferno né paradiso, solo uno scomodo e noioso purgatorio che ognuno affronta come meglio crede.

C’è chi si affanna a terminare gli affari sospesi, chi non si affretta. Chi fa finta di niente, chi si organizza. Chi si dà da fare, chi contesta. Chi impazzisce e chi era impazzito già.

D’altronde ogni sopravvivenza ha i suoi trucchi.

Io ho messo le scarpette in auto. Non sono ancora sicuro dove andrò quando annunceranno il divieto di uscire di casa.

Ma laddove trascorrerò questo secondo lockdown, vorrei provare a correre, anche se dovessi limitarmi a girare intorno ad un palazzo. Come feticcio di una fuga.

In auto tengo anche una tuta nuova, è comoda, servirà per i pomeriggi sul divano. Una borsa ho ficcato del lavoro da portarmi appresso. Ma lavorare sarà complicato. Molte cose andranno interrotte.

Però continuerò ad essere triste per i ragazzi che non possono andare a scuola.

Per tutto questo tempo sprecato nei loro anni migliori.

Nello zaino ho sempre il computer portatile per poter scrivere e un paio di libri da finire.

Quanto tempo possiamo resistere questa volta?.

Mi consolo sperando siano solamente due settimane.

Ma anche se fossero quattro o otto, inevitabilmente passeranno.

Cambieremo colore, ma sarà sempre meglio di questa assurda “zona grigia”.

(nella foto: Locandina del film “Paesaggio nella nebbia” di T. Angelopoulos – 1988)

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