QUATTRO SETTIMANE

Con oggi, sono chiuso in casa esattamente da quattro settimane.

Da ricordare, quasi quanto quelle, celebri, tre di Fred Bongusto.

Ventotto “giorni della marmotta”, in loop temporale, come Bill Murray in “Ricomincio da capo”.

L’ultima azione differente che, ricordo effettuai, in una magnifica domenica di Marzo, fu correre. Dunque, casomai vi servisse un capro runner espiatorio, tenetemi presente.

Da quel momento sono comunque riuscito a fare varie cose: ho letto tre libri, scritto una ventina di articoli, “steso” innumerevoli lavatrici apprendendo la tecnica ideale per l’ottimizzazione dello stendino. Mi sono lavato le mani almeno sei volte al giorno anche nei giorni in cui non ho varcato la soglia di casa.

Ho ricevuto, ignorato e cancellato innumerevoli immagini e video su teorie complottiste, medicinali miracolosi, minacce di arresto e modelli di autocertificazione. Nonostante questo, so tutto di pipistrelli, rete 5G, antivirali, diritti costituzionali, carrarmati russi che avanzano e tedeschi che ci nascondono vaccini.

Durante i primi dieci giorni, senza dubbio i peggiori, ho censito ogni mio colpo di tosse, catalogandolo come potenziale principio di malattia. Ho fatto lo stesso per ogni sopraffiato e minima variazione termica, temendo, tutte le volte, di diventare il “paziente zero” e di conseguenza discendere agli inferi della cronaca locale.

Ho avuto pure qualche momento di sconforto, al confine con le lacrime, pensando di non poter più fare cose che avevo rimandato, come visitare posti dove non sono ancora stato.

Mentre ci riflettevo, ho pure cercato di lavorare, ma con scarso successo.

Pazienza: l’architettura se ne farà una ragione.

Viceversa ho recuperato la lettura di ben sette albi di Dylan Dog, una dilazione ingiustificabile mai capitatami dal 1989, rimettendomi in pareggio.

Obbligato dalla monocorde programmazione televisiva, ho imparato a memoria nomi e visi di tutti i virologi, assessori e presidenti regionali, sindaci battaglieri. Ho atteso le comunciazioni del premier con l’apprensione di una partoriente. Ho visto così tante conferenze stampa della protezione civile che, oramai, considero Borrelli e Brusaferro miei amici intimi.

Sono diventato un esperto di curve esponenziali e logaritmiche. Mi sono appassionato alle tabelle, inseguendo, novello Achille, questo maledetto picco tartaruga, come nel paradosso di Zenone. Ho studiato con passione le modalità di contagio, distanza di sicurezza e lunghezza del droplet, decriptando misteriosi acronimi di dispositivi sanitari (DPI, FFP2, FFP3…).

Impossibilitato a svolgere qualsiasi attività fisica ho eseguito, quotidianamente, esercizi per la schiena, disteso sul pavimento della camera da letto. In astinenza da eventi sportivi, ho riveduto filmati di vecchie imprese sportive, emozionandomi come fossero in diretta.

Ho rispolverato dischi intramontabili: “Abbey road”, “Pulse”, “Telegraph road”. L’ascolto dei quali, talvolta, mi provoca curiose allucinazioni.

Ho ripreso a suonare la chitarra, dopo quindici anni.

Ho partecipato alla preparazione di pane, pizza, gnocchi, crostate, dando un mio contributo, seppur minimo, all’approvvigionamento quotidiano di cibo.

Ho telefonato, ogni sera, ai miei genitori, terrorizzato che alla domanda di rito: “Come stai?” seguisse una risposta differente dal solito.

Ho molto pensato ad alcuni miei amici che trascorrono questi giorni con i loro bambini, cercando di immaginare come si possa tenerli chiusi in casa per così tanto tempo (ve lo vorrei dire: “siete degli eroi!”).

Ho persino accettato videochiamate da parenti.

Sono uscito di casa, con l’ardire di un rivoluzionario, un numero di volte conteggiabile sulle dita di una mano, evitando di toccare qualsiasi cosa e nessuno (e per sicurezza, non mi sono più toccato neanch’io).

E tutte le volte, ho provato una profonda tristezza nel vedere la gente evitarsi come appestati. E così, ora, credo di non aver nemmeno più tanta voglia di uscire.

Ho deciso che questa versione del mondo non mi interessa. Auspico un aggiornamento.

Per questo ho provato, molte volte, ad immaginare quanto durerà e cosa ci sarà dopo.

Ma, ahimè, non ci sono ancora riuscito.

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