BREVI STORIE DEGLI ELEMENTI ARCHITETTONICI SOTTOVALUTATI – LA VERANDA

Si calcola che in Italia esistano circa 6 milioni di verande, quindi una ogni 10 abitanti; neonati, ultracentenari ed immigrati inclusi; questo sostanzialmente, fa dell’Italia, il paese delle verande. Si calcola, inoltre, che almeno il 70% di queste siano abusive. E questo fa dell’Italia anche il paese degli abusivi, ma questo non c’era bisogno delle verande per saperlo.

Il termine “veranda” deriva dalla lingua indiana; in India infatti la veranda è molto diffusa al pari dello zenzero, gli induisti, le carceri per i marò e la diarrea. Probabilmente la parola è un adattamento portoghese o spagnolo della parola indiana “varanda” o “baranda” a cui ci si riferisce per indicare ringhiere, balaustre o balconi. Dall’India coloniale, la veranda giunse in Inghilterra, dove ebbe grande applicazione nell’epoca vittoriana con grande sfarzo nel disegno degli infissi e delle vetrate.

J.J. Tissot – “Un te’ in veranda” (1873)

Per celebrare le usanze anglosassoni, l’artista Jean Jacques J. Tissot, nel 1873 dipinse “Un tè in veranda”, dove si osserva un gruppo di donzelle, probabilmente di nobili origini, che consuma la nota bevanda aromatica in una lussuosa veranda vittoriana. La veranda, in sostanza, è in origine un balcone, o una terrazza, che viene chiuso mediante un telaio (in alluminio o legno), spesso dotato di vetrate. Quindi la condizione fondamentale per avere una veranda è prima avere un balcone o una terrazza. In sostanza si può sostenere che la veranda sia un balcone che ce l’ha fatta.

Il processo inverso (da veranda a balcone) è un caso rarissimo, quasi impossibile, infatti, che chi ha la fortuna di possedere una veranda, la trasformi in balcone. In caso di ville di campagna la veranda può essere anche la naturale estensione del portico al piano terra. Ma questa cosa avviene di solito solo nei telefilm americani, o nei possedimenti dei camorristi, in provincia di Caserta.

La veranda ha avuto grande diffusione negli anni ’50-‘60 del novecento, cioè prima dell’invenzione della concessione edilizia, dell’ICI, della variazione catastale e della tv a colori. In quegli anni costruire una veranda era molto semplice, si sceglieva una finestra della casa, dopodiché si decideva quanto grande la si voleva. Il giorno dopo si chiamavano quattro amici tra cui uno che portava i ferri. I vicini si avvertivano solo in caso di necessità. Se durante la costruzione della veranda “qualcuno veniva a domandare”, gli si rispondeva che era in arrivo un altro figlio e serviva un bagno in più. Questa giustificazione di norma era sufficiente. Così mentre in Inghilterra si andava in veranda a prendere il tè, in Italia di solito si andava in veranda subito dopo aver preso il tè (o, dopo il tè, non si andava affatto, questo dipendeva dal metabolismo degli occupanti). Con il moltiplicarsi degli edifici in cemento armato pieni di balconate, la veranda ha cambiato aspetto perché la parte più difficile del lavoro era già fatto e di amici ne bastavano giusto due. Inoltre grazie alla facilità d’uso del cemento molte verande sono state murate e mimetizzate nei fabbricati, ma questo solo per sopprimere il costo di manutenzione dei vetri rotti e del silicone. Oggi la veranda non è più così d’attualità, è troppo vistosa e tende al radical chic; in tempo di crisi meglio qualcosa più low profile, tipo l’arredamento vintage, il pavimento finto legno o il SUV ecologico.

La veranda, solitamente, è l’ambiente della casa meno coibentato, infatti, il problema più grande delle verande è che fa caldissimo d’estate e freddissimo d’inverno. La veranda è il posto preferito dagli anziani non più deambulanti che possono guardare in strada senza uscire. Purtroppo non sono rari i casi di anziani dimenticati in veranda e ritrovati dopo anni carbonizzati o assiderati. Un altro guaio delle verande è che di sera tutti sanno se sei in casa, questo in chiara violazione della legge sulla privacy.

In genere le verande non sono conformi alla vigente normativa antisismica, ecco perché in caso di terremoto, rifugiarsi in veranda non è prudente. Un mio biscugino molto apprensivo che vive a San Giovanni Vesuviano (NA) ha dato incarico ad un ingegnere per far fare i calcoli statici alla sua veranda. Ma l’ingegnere dopo una settimana di rilievi, due mesi di studio,e duemila euro di acconto, è sparito. Successivamente si è scoperto che era un finto ingegnere con il diploma della scuola RadioElettra, come Bossi.


Veranda con vetri colorati in “casas junto al rio” di E. Schiele

Il cantautore Franco Battiato ha dichiarato di praticare la meditazione in veranda, due volte al giorno. Il che spiega molte cose.

La veranda è brutta per sua stessa natura, ne è prova che dal 1979, anno della sua istituzione, nessun architetto abbia mai vinto il premio Pritzke per una veranda.

Parafrasando Dante: “Nessuna maggior gioia che ricordarsi del tempo infelice nell’allegria“. Dopo L’Architemario è uscito il mio secondo libro: “L’Architemario in quarantena – Prigionia oziosa di un architetto”. Il libro perfetto per dimenticare le zone rosse, arancione rafforzato, arancione e gialle . CLICCA QUI PER ORDINARLO SU AMAZON

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