Una piastrella all’ingresso della casa del signor Borgese recita: “Se vuoi costruire una fabbrica di grande altezza, pensa prima alle fondamenta dell’umiltà“.
E’ una frase di Sant’Agostino. La si incontra lungo una via centrale di Ravello, insieme ad altre, che il signor Borgese in questi ultimi anni ha voluto porre per rammentare le cose che più aveva a cuore.
Il signor Borgese amava le citazioni, aveva il dono di saperle utilizzare al momento giusto.
Le pescava dalla memoria della sua burrascosa vita e dalle sue letture.
Quando andavo a trovarlo, mi incantavo a guardare i titoli dei libri che teneva allineati sulle mensole della sua piccola casa.
Quando gli sfuggiva un aforisma, ricorreva all’aiuto di un manuale dal titolo “chi l’ha detto?”; sfogliando quel testo antico recuperava le parole giuste.
“Tu che ami scrivere” mi disse un giorno “dovresti comprare questo libro“.
Nel 2005, quando lo conobbi, il signor Borgese aveva circa ottant’anni e un peso che lo opprimeva: vedere conclusa, prima di morire, la sua opera.
L’aveva tirata su per lungo tempo, a partire dalle fondamenta, con le sue mani.
Ma ora, per terminarla, aveva bisogno di aiuto.
Mancava innanzitutto un progetto, poi le condizioni e i relativi, numerosi, permessi. Occorreva un lavoro impegnativo, dall’esito incerto.
Mi chiedevo allora come un uomo di ottant’anni e un architetto di trenta potessero dialogare.
Presumevo conflitti e disaccordi; incomprensioni che mai ci sono state.
Il signor Borgese era si un uomo severo, schivo, talvolta integerrimo, ma dotato di una sorprendente immaginazione.
Lucido, ingegnoso, più moderno di tanti giovani. Affascinato dal progresso, tanto che una volta mi raccomandò di recarmi a New York.
“Devi assolutamente vedere i grattacieli” mi disse “la meraviglia delle costruzioni che sfidano il cielo in altezza“.
Accettando l’incarico che mi affidò, non riuscii a promettergli che sarei stato in grado di sollevarlo dal macigno che si portava dentro.
“Farò il possibile” mi limitai a garantire.
“Qui si parrà la tua nobilitate” rispose.
Non capii.
Allora mi scrisse quella frase sul risvolto di una cartella in modo che potessi tenerla a mente.
“E’ ciò che Virgilio dice a Dante”.
Corretto: nel canto secondo dell’Inferno.
“Sarà questa l’occasione nella quale potrai dimostrare quanto vali. Se vali” chiosò.
Da allora, tutte le volte che devo affrontare un compito impervio, ripenso al signor Borgese.
Specie adesso che non c’è più.
Vorrei avere come lui, tutte le volte, la frase giusta.
Nel frattempo, se non l’ho, sfoglio il libro che mi suggerì di comprare.
E la cerco.
(P.S.: Quel lavoro lo concludemmo nel 2015)
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