LAVA LINDA

Io e mia mamma ricordiamo benissimo il giorno in cui morì zia Linda.

Fu lo stesso giorno in cui si ruppe la lavatrice.

Una vera tragedia.

In quel momento zia Linda aveva sessantadue anni; di questi, gran parte degli ultimi trenta li aveva trascorsi a casa da noi. Era la sorella maggiore di mia mamma, aveva frequentato le scuole magistrali, poi, per un breve periodo, insegnato alle medie, successivamente aveva fatto la commessa e, infine, la sarta.

La zia era sempre parsa più vecchia, forse solo nell’ultimo periodo dimostrava precisamente la sua età.

La lavatrice, invece, di anni ne aveva ventinove, portati benissimo.

Mamma l’aveva comprata ai grandi magazzini pagandola seicentocinquantamila lire. Era completamente bianca con i comandi neri. L’oblò, pure nero, era così ampio che pareva il portellone di un sottomarino. Con una manopola si poteva regolare il lavaggio, con un’altra decidere se effettuare o no il risciacquo e la centrifuga. Inoltre aveva una decina di spie rosse che si alternavano nel brillio, come in un piccolo presepe. Aveva una meccanica tanto fine quanto robusta; era di fabbricazione tedesca, come il frigorifero, con il quale formava una virtuale coppia di fatto domestica.

La zia era rimasta zitella.

“Per scelta sua” sosteneva. In realtà non aveva trovato mai nessuno.

Aveva braccia ossute e gambe nodose sulle quali ondeggiava scomposta, storta con le anche sbilanciate. In casa, tra di noi, adoperavamo un benevolo vezzeggiativo: dicevamo che la zia era “bruttarella”. Inoltre possedeva una serie di fisime che scoraggiavano qualsiasi eventuale convivenza maschile. Una di queste riguardava la pulizia. Teneva sempre i capelli legati a tuppo e la voce stridula come uno sciame di rondini.

La lavatrice era molto silenziosa. Le prima volte non credevamo potesse effettuare lavaggi tanto accurati producendo così poco rumore. Se non fosse stato per gli inevitabili scuotimenti, tipici della centrifuga, potevamo dimenticarci di averla avviata, lasciando i panni in ammollo addirittura per un’intera notte.

Capitò spesso da quando cambiammo il piano tariffario energetico, preferendo, per una questione economica, di impiegarla durante le ore serali.

La zia Linda lavorava fino a tardi. Si sistemava in veranda con i suoi arnesi da cucito e là stava. Ce ne scordavamo. Riappariva sorprendendoci in soggiorno per avvertirci che sarebbe tornata a casa. Viveva da sola in un piccolo appartamento al centro. Per evitare di sporcarlo lo frequentava pochissimo: per questo stava sempre da noi.

A lei erano affidate le nostre pulizie quotidiane; della scopa elettrica, ad esempio, deteneva l’utilizzo esclusivo. Con quella, passava e ripassava il pavimento con precisione chirurgica e pazienza francescana. Quando finiva di spolverare si occupava di fare il bucato.

Talvolta mia mamma la prendeva in giro cantandole “Lava Linda…” parafrasando “Balla Linda” un celebre brano di Lucio Battisti.

La zia era legatissima alla lavatrice. Per la modestia dei suoi lavaggi casalinghi non ne aveva mai acquistata una. Ad un certo punto pensammo la volesse adottare, come una figlia. D’altronde pure lei faceva parte della famiglia; era utile, conveniente e non recava nessun disturbo.

Mia mamma soleva ripetere: “che Dio ce la conservi integra ancora cent’anni…”.

Al netto delle canoniche questioni, con lei non avemmo mai problemi.

Mi ricordo che una volta trovammo una vasta pozzanghera in bagno.

Preoccupati, ci radunammo per discutere dell’accaduto. Qualcuno ventilò l’ipotesi di chiamare un tecnico per fargli dare “una guardata”. Finché mia madre ipotizzò di non aver chiuso perfettamente il portellone. Allora decidemmo di fare un nuovo lavaggio che la lavatrice effettuò con diligenza, senza far colare neppure una goccia d’acqua.

Quando la zia seppe che la lavatrice aveva rischiato di ricevere la visita di un tecnico per lo spavento ebbe un malore. Ripresasi, per sicurezza, le pulì tutte le guarnizioni con uno straccio intinto nell’aceto. Quindi le lucidò la carlinga come si trattasse di una Rolls Royce.

Per alcuni giorni, per non affaticarla, evitammo di farle fare lavaggi impegnativi. Ma già dopo una settimana tornò ad operare come sempre. Più volte ci salvò da situazioni complicate; come quando tornammo dalle vacanze in Grecia, dove fummo costretti a restare dieci giorni senza ricambio di biancheria.

Alcuni anni fa la zia fu obbligata a trasferirsi da noi. Fu quando prese la bronchite.

Mia mamma disse che era a causa di una sovraesposizione all’acqua fredda. Un classico “colpo di freddo”. La zia non voleva, ma mia madre la convinse a farsi visitare dal medico che pure propense per quella diagnosi. Le preparammo un letto nella camera che fu di mio fratello. Il trasloco non le provocò particolare disagio.

Anche la lavatrice, per un breve periodo, fu costretta a cambiare alloggio. Circa dieci anni fa, quando sostituimmo le piastrelle del bagno, fu spostata nel ripostiglio. Mia mamma collegò un flessibile al rubinetto del terrazzo mentre lo scarico, con un collegamento che definire audace sarebbe certamente riduttivo, venne dirottato sotto il lavabo della cucina.

Si adattò perfettamente a quella nuova condizione: ricordo che il primo lavaggio fu avviato con palpabile tensione. Il risucchio finale sembrò avere un rumore diverso e la centrifuga fece crollare una pila di detersivi dalla dispensa. Mia madre e mia zia seguirono quell’impresa col fiato sospeso. L’accensione della spia del fine ciclo venne salutata con un applauso.

La zia la abbracciò. Mia mamma, orgogliosa, pensò di aver guadagnato sul campo i galloni di idraulico.

Zia Linda si è ammalata circa un anno fa. Un giorno aveva preso a tossire, prima debolmente, poi sempre con maggiore forza e frequenza. Una strana tosse. Il medico le aveva detto che questa volta, purtroppo, la colpa non era da attribuire ad un “colpo di freddo”, ma a qualcosa di più grave.

Comunque aveva continuato a fare la solita vita: bucati e rammendature. Si era curata poco e svogliatamente. Finché i suoi colpi di tosse avevano finito per coprire il rumore della scopa elettrica.

Da circa un mese anche la lavatrice non funzionava più come prima. Mia mamma diceva che si era “stancata di campare”. A volte il lavaggio si bloccava a metà e bisognava scaricarla e ricaricarla daccapo. Altre volte emetteva strani rumori, come dei brevi rutti. L’acqua non veniva più svuotata e i panni rimanevano bagnati. Sentivo mia mamma bestemmiare mentre ripuliva il cestello.

Quando invece l’inconveniente capitava alla zia Linda, lei lo accoglieva con benevola tolleranza. La carezzava dolcemente come si lusinga un siamese. Erano i momenti in cui sentivo che le parlava in intimità. La invogliava dandole dei colpetti, come ad un neonato con difficoltà digestive.

Questa volta nessuno parlò di chiamare uno specialista. Mia madre pensava che oramai, purtroppo, la sua fine fosse prossima.

Il mese scorso io e la mamma siamo stati all’inaugurazione di un negozio di elettrodomestici. Lavastoviglie, forni elettrici, lavatrici, tostapane, cappe aspiranti e frigoriferi allineati su eleganti scaffali brillavano come gemme in una gioielleria. Avevamo dato uno sguardo curioso, quindi ci eravamo soffermati al buffet chiacchierando coi presenti. Infine avevamo preso il volantino delle offerte ed eravamo tornati a casa.

Qui avevamo trovato la zia distesa sul letto, le mani sulla pancia come in posa; morta.

Mia mamma l’aveva dapprima scossa, non ricevendo reazione le aveva sentito il polso, trovandolo muto.

Nel bagno, invece, avevamo scoperto una grande chiazza d’acqua e sapone che si stava allargando verso la cucina.

Anche la lavatrice non dava segni di vita. Mia mamma aveva provato a girare le manopole, ma niente. Infine aveva anche staccato e rimesso la spina, ma, in un silenzio spettrale, le spie erano rimaste tutte tristemente buie.

Non scoprimmo mai se si fosse spenta prima la lavatrice o la zia  .

Chi provocò l’atroce dolore che causò la dipartita dell’altra.

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