Ha ricevuto tanta solidarietà la sfida dell’architetto contro il “mancato pagamento” (clicca per leggere l’articolo). Sintomo che si tratta di un tema particolarmente sentito che coinvolge e perseguita migliaia di architetti italici.
L’argomento merita un approfondimento: in questa seconda parte vengono illustrate altre categorie di “mancato pagamento”.
Ricordiamo che le categorie principali già individuate sono quattro:
“Per ambiguità” (il celeberrimo “donatore di lavoro”).
“Per scordanza” (il vuoto di memoria ad hoc).
“Per avarizia” (“paghi lei che non ho moneta”).
“Per amicizia” (“Non vorrai mica dei soldi da me?!”).
In base anche alle indicazioni dei lettori, si segnalano almeno altre quattro sottocategorie. Che sono:
“Per smarrimento”.
“Per rimando”.
“Per titolo”.
“Per procura”.
La categoria “per smarrimento” racchiude tutti coloro che danno un incarico all’architetto ritenendo che questi lo svolga per pura benevolenza, totalmente indulgente alle esigenze del committente, pur conoscendolo appena. Gli “smarriti” sono convinti (in buona o cattiva fede) che l’architetto sia il titolare di una onlus dedita alla beneficenza che abbia come fine unico la salvezza della bellezza nel mondo.
Quando l’architetto chiede di essere corrisposto con del vile denaro, il committente lo osserva con animo sperduto, sgranando gli occhi come una lepre finita per sbaglio su una carreggiata dell’autostrada A8 “dei laghi”. Lo smarrimento prevede frasi del tipo: “Ah! Perché ti (la) devo pagare ?”, oppure “Veramente, io non pensavo fosse una cosa a pagamento” o, la più spregiudicata: “Non pensavo che queste cose si pagassero!”.
Per comprendere se lo smarrimento derivi dalla categoria “per amicizia” o da quella “per ambiguità”, basta fare attenzione al pronome, ovvero se all’architetto viene dato del “tu” o del “lei”; questo non incide sul convincimento che l’architetto, in fondo, offra comunemente quelle insignificanti “quattro carte” o quel misero “progettino” ai bisognosi, nel tempo libero, come i vecchi le molliche ai piccioni nel parco.
Temibilissima è la categoria del “Per rimando”, stretta parente di quella “Per scordanza”, ma più arcigna poiché più scientifica ed emotivamente destabilizzante. Il “rimandatore” di pagamento è un osso duro per l’architetto respinto con motivazioni fantasiose e/o sempre più gravi. La frase di apertura è sempre l’intramontabile: “Poi passo e pago…”, dove “poi”, per la grammatica tecnica equivale ad un avverbio di tempo indeterminato. O, una più generica: “…un po’ di pazienza…”, accoppiata con variegate motivazioni quali: “ora si deve sposare mia figlia/o”, “sto finendo di pagare il mutuo”, “ora vengono le feste… vediamoci dopo Natale (Pasqua, Ferragosto…)”, “…appena prendo lo stipendio…” ecc.
Talvolta la categoria del “rimandatore”, prima ancora di sfociare nel meccanismo della “scordanza”, finisce nella sotto-sotto categoria della “per tragedia”. Càpita quando un componente della famiglia è vittima di una presunta sciagura (malattie, incidenti stradali, separazioni…) e così l’architetto non ha neppure il coraggio di disturbare per chiedere lumi sul suo “mancato pagamento”. L’apoteosi si raggiunge con la tragedia personale, ovvero quando il rimandatore è colpito egli stesso da una tragedia, oppure, in ultima istanza, muore.
A quel punto tutto è rimesso al buon cuore degli eredi (se ne ha).
Una categoria molto raffinata di “mancato pagamento” è quella dei debitori “Per titolo”. Si tratta di casi rari ma pressoché imbattibili. Succede quando all’architetto viene affidato un lavoro che viene svolto in un lasso di tempo piuttosto lungo, durante il quale, però, il committente perde la titolarità del bene (per compravendita, scioglimento di società, divisioni, donazioni ecc.). Intanto l’architetto, ignaro, prosegue il suo lavoro, ma quando presenta l’onorario, il committente (diventato oramai ex-committente), gli risponde che lui non ha niente più a che vedere con il bene in questione. Ricevendo l’architetto con lo stesso fastidio con il quale si accoglie un attacco di dissenteria sul tram.
Dopo una veloce colluttazione all’architetto viene indicato il nuovo titolare che, ovviamente, non lo conosce, non gli ha comandato niente e figuriamoci se intende pagarlo. E’ chiaramente una sfida impossibile anche perché se l’architetto provasse a rivolgersi ad un avvocato sarebbe come consegnarsi ad un altro nemico, persino più pericoloso, con le mani in alto.
L’ultima sottocategoria è quella del mancato pagamento “Per procura”, ovvero gli architetti che svolgono lavori in sub-appalto, per altri architetti, ingegneri, scienziati vari o geometri che non sono capaci ma che conoscono le persone giuste. Si tratta di pseudo contratti di lavoro, dove l’architetto ce la mette tutta per fare bella figura, spesso incalzato da tempi strettissimi (l’appaltatore arriva sempre in prossimità della scadenza prima di capire che deve incaricare un altro). Fiero del suo lavoro, l’architetto, quando lo consegna e giustamente vorrebbe essere pagato, viene rimbalzato con la classica: “Appena pagano me, io pago te”.
Raffinatissime forme di pagamento “per procura”, arrivano ad accumulare anche tre/quattro subappalti in serie, affidati a mini scritture private valide quanto il quattro di coppe con la briscola a spade. Questa pratica, una volta era ben riprodotta con il metodo degli assegni “a giro”, che ad un certo punto si bloccavano per motivi misteriosi (conti scoperti, riciclaggio, Guardia di finanza ecc..). Ma comunque sempre prima che i soldi arrivassero all’architetto.
Queste sotto categorie, a differenza delle principali, hanno tutte una caratteristica comune: non prevedono contromisure.
L’unica via praticabile è la prudenza. Gli architetti che sanno fiutare l’inganno, si difendono opponendo anch’essi, strategie di “rimando”, “scordanza”, “smarrimento” ed infine, se necessario, “procura”.
Oppure fanno finta di niente: si distraggono, gli dedicano poco tempo, giusto il tempo tra la pausa caffè e il “rimettiamoci al lavoro”.
Per questo, è altamente probabile che, dietro ogni architetto che si impegna poco, si senta puzza di “mancato pagamento”.
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