Avanguardia artistica a Minori?

E’ presente a Minori, da più di un mese oramai, un’opera straordinaria, che con curiosa indifferenza si ignora, ma solo per una fisiologica mancanza di conoscenza. In un territorio così legato a forme tradizionali e all’impiego di materiali e simboli consueti, il nuovo monumento posato sull’aiuola del lungomare di Minori, rappresenta il primo vero esempio di avanguardia artistica comparso in costiera Amalfitana. Ed è un momento importante per questo territorio che era così ancorato a vecchi linguaggi e ad un modo di comporre l’arredo urbano che, almeno fino a ieri, restava legato alla proposizione di kitscherie varie, anticaglie da mercatino delle pulci, falsi di dubbio gusto ecc… Finalmente Minori ha il coraggio di cambiare rotta, virando con decisione verso le tendenze avanguardistiche dell’arte. L’opera basamentaria con “l’impacchettamento” in plastica che nasconde una scultura in marmo bianco (che dovrebbe essere una sirena opera dell’amalfitano Maugieri), è una chiara citazione all’arte concettuale. Probabilmente un omaggio diretto al famoso artista bulgaro Christo Javacheff, celebre per i suoi lavori sulla Reichstadt di Berlino, ma anche a Milano (piazza Duomo e della Scala) e Roma (Villa Borghese). L’espressione concettuale del gesto artistico nasce con l’intento di svuotare l’oggetto dal suo significato puramente estetico, evidenziando il rapporto tra l’immagine e il suo significato. Il vero gesto artistico diventa quindi il pensiero, ciò che lo spettatore riesce a immaginare, ad associare a ciò che osserva. Christo, in particolare, nelle sue opere svolta verso la “Land art”,  installazioni anche di grandi dimensioni a carattere provvisorio, che provano a far riflettere lo spettatore, innescando quell’affascinante processo emozionale che provoca il pensiero del gesto artistico, anche tramite l’assenza fisica dell’oggetto.A Minori l’interpretazione della conceptual art assume temi assolutamente sorprendenti, poichè l’impacchettamento viene sostenuto da un pesante basamento in pietra lavica “martellata”. Con una tensione emotiva di impressionante intensità, l’artista (o gli artisti, la mano è ancora anonima) realizza un sarcofago funerario “delicatamente” sovrapposto ad uno schema regolare di piastrelle ruotato di 45°. La metafora della morte, della sepoltura, che l’artista (o gli artisti, come sopra) attraverso la bara di pietra, manifesta, è un urlo straziante, una prova del dolore talmente evidente nella sua grevità che eleva il gesto nella pienezza della sua forma. La banalità della sua geometria è in realtà la risultante di un processo sofferto e sofferente che continua a dialogare con il sopreso interlocutore, in tutti gli angoli visuali. Anche la pesantezza della bara in realtà è soltanto un illusione del profano, la leggerezza è nella concezione, nella potenza dell’idea. Il sarcofago è una citazione: riecheggia l’idea del monumento arcaico, del “Duat”, il paradiso degli egizi, l’aspirazione verso l’aldilà, la magia della resurrezione. Ma la bara sembra andare oltre, la sua concreta fisicità appare un omaggio al brutalismo architettonico di Viganò e del maestro Michelucci. L’artista rielabora il volume ma non sprofonda nella terra, bensì decide di “violentarla” con energia, ci si sovrappone con spietata vigorìa; cercando il contrasto con la scultura celata. La poesia è nella contrapposizione degli elementi. Il telo di plastica parla di qualcosa che agli occhi non è dato vedere, l’immaginazione lavora con dinamismo dinanzi al contrasto che il polietilene azzurro realizza con la pietra vulcanica. La fatica che fanno le funi a reggere l’urto del volume sottostante, il vibrare delle corde al vento, l’allentarsi dei nodi, sono il palpito lacerante che l’opera instaura con l’ambiente circostante e con gli occhi dello spettatore. Il nastro adesivo industriale, con la sua aggressiva tonalità marrone, disposto con confusa tenacia, esprime quella gabbia di sentimenti e di ingiustizie che ci avvolge, è la metafora dei legacci dell’incomprensione, del soffocamento dell’arte al quale l’autore si ribella. Gli occhi scrutano il capolavoro, provano a vedere ogni volta un pezzo in più del celato, ma la gioia è vedere non vedendo, guardare credendo di guardare, trovare nei particolari, ogni giorno, un emozione nuova, una prospettiva inconsueta; come pulsante di vita propria, il sarcofago e la plastica instaurano un rapporto parlante, un respiro vitale, un soffio di immenso, trasudando genio e freschezza ispirativa; forse il punto di inizio di una nuova primavera artistica che sboccia in questo piccolo paese costiero.Che tacciano dunque le provocatorie e chiaramente ironiche voci di una scopertura della scultura, l’opera (tra l’altro costata pochissimo, poco più di 8000 euro, una miseria di fronte a tale capolavoro) è completa nella sua meravigliosa espressione concettuale, un invito che è quasi un obbligo a vedere con gli occhi della mente, a operare (ed era ora !) sull’orizzonte della fantasia, a svecchiarsi, è una concreta apertura al nuovo propria solo di chi possiede il coraggio delle idee. Minori, dunque, come la Barcellona del Modernismo, la Weimar del Bauhaus e la Como del Razionalismo, come le grandi occasioni storiche che spianarono la strada alle avanguardie artistiche dello scorso secolo.

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