SFIDE: L’ARCHITETTO CONTRO IL PONTE

Fino a qualche tempo fa, quando in Italia si parlava di “ponte” si pensava sempre ai giorni che intercorrono tra il primo giorno di Novembre o Maggio e la Domenica più vicina. Così nessuno chiamava in causa gli architetti che anzi, in genere, di Domenica lavorano e, qualche volta, anche il primo di Maggio.

Quando in uno studio di professionisti deve essere progettato un ponte, ovvero una struttura utile a superare un ostacolo, l’apporto dell’architetto in genere si limita al disegno di uno schizzo a matita con la punta grossa e alla realizzazione di un modello in carton plume e vinavil. Però, quando il progetto è pronto, è sempre l’architetto che lo presenta, recandosi alla conferenza stampa. Questo perché l’architetto sa vestirsi e pettinarsi molto meglio dei suoi colleghi, soprattutto dell’ingegnere, inoltre conosce e sa utilizzare, al momento giusto, parole tipo “fascinazione”, “skyline” e “sostenibilità”.

Esistono, però, anche casi in cui la progettazione del ponte è compito proprio dell’architetto: si tratta di una sfida davvero molto impegnativa.

In base alle competenze accumulate negli anni, gli architetti sarebbero perfettamente capaci di costruire ponti. Però ponti piccoli, magari pedonali, che per discrezione chiamano “passerelle”, oppure carrabili ma giusto per scavalcare torrenti in secca per 300 giorni all’anno, con il flusso d’acqua di un rubinetto di giardino.

morandi

Il ponte “Morandi” – vignetta di G. Covino

Quando l’architetto deve invece costruire un ponte vero tutto da solo, va a ripescare in soffitta le fotocopie dei corsi di scienze e tecnica delle costruzioni, nozioni che ha rimosso completamente perché aveva “studiato a memoria”. In genere, però, l’architetto ritrova nei suoi appunti solo strutture di travi e miliardi di esercizi di catene cinematiche iperstatiche che non gli sono molto utili. Così, per essere più sicuro, ricorre al suggerimento di un ingegnere suo amico che, o è un professorone universitario in grado di calcolare il momento torcente nella mezzeria della campata a mente ma esterno a qualsiasi contatto con il mondo reale, oppure è un nerd con un handicap di sei diottrie ad occhio che vive in un sottoscala e si arrangia facendo il cassiere al Carrefour e le ripetizioni a “nero” agli studenti asini.

Quando un ingegnere mette le mani sul progetto di un ponte di un architetto, è sempre costretto ad aggiungere il doppio degli elementi resistenti previsti. Quando l’architetto gliene chiede il motivo, lui risponde che altrimenti la struttura non sarebbe verificata sismicamente. Dinanzi all’avverbio “sismicamente” l’architetto è costretto ad arrendersi come Superman a contatto con la kriptonite verde. Solitamente le dispute più accese si consumano sul numero dei pilastri, che l’architetto contesta perché rovinano irreparabilmente l’armonia spaziale della sua opera. Questa divergenza sfocia in una mediazione: i pilastri aggiuntivi verranno tutti avvolti da edera rampicante in modo da confondersi perfettamente con il paesaggio circostante. Questo espediente risulta, spesso, valido a diradare i dubbi dei funzionari della soprintendenza che spesso sono all’oscuro di alcuni noti principi, tipo quello della forza di gravità.

Raramente un architetto riesce ad attribuirsi felicemente la paternità di un ponte, in genere dipende dal risultato finale. Ad esempio, rimanendo nei confini italici, Santiago Calatrava (che è sia architetto che ingegnere), se il ponte fa schifo e/o causa problemi, allora è architetto (ponte della Costituzione a Venezia), se invece se ne magnifica la struttura allora è un ingegnere (ponti sull’A1, presso Reggio Emilia). Da quando è caduto il viadotto sul Polcevera, è nato il dubbio che Riccardo Morandi, ingegnere, fosse un architetto (provate a scrivere Morandi nella riga di google e notate il primo suggerimento che vi appare).

Per vincere la sfida contro il ponte, oggi l’architetto potrebbe rivolgersi al mondo del web dove si trova un enorme surplus di competenze. Una volta succedeva solo con il calcio: quando giocava la nazionale spuntavano fuori milioni di allenatori. Oggi il campo si è molto allargato: se si parla di vaccini sono tutti medici, se fa un terremoto tutti sismologhi, se si deve scoprire il motivo del crollo di un ponte diventano tutti ingegneri e per il successivo progetto subito qualche milione di architetti pronti.

Ecco spiegato perché gli architetti regalano i loro progetti e non solo quelli dei ponti: per anticipare la concorrenza.

(Nell’immagine all’interno del testo: vignetta di Giancarlo Covino – “Ponte Morandi” – il progetto che ho donato a Renzo Piano per il nuovo viadotto Morandi)

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