L’ESTETICA DELLE ELEZIONI

policarbonatoLe elezioni sono un esempio perfetto della superficialità estetica del nostro paese. Non si può chiedere ai cittadini di scegliere le sorti della nazione in ambienti così tristi e male arredati.

Toccherebbe agli architetti riportare un po’ di bellezza in questa organizzazione così sciatta e volgare. La questione estetica, infatti, non è meno importante di quella etica (che pure non sta messa tanto bene), perché spesso la forma è anche sostanza.

A tal proposito è emblematica la vicenda personale di un cugino di mia madre che, da quando nel 1974 ventenne, si recò alle urne per la prima volta, conduce una sua battaglia personale contro la sciatteria dei seggi elettorali e delle elezioni in genere. Da quando poi è diventato architetto, considera questo compito una specie di missione.

A mero titolo di esempio fu memorabile la sua polemica alle “Regionali” del 1985, quando pretese che le tende oscuranti delle cabine fossero almeno abbinate al colore delle pareti dell’aula. In quell’occasione fu accompagnato fuori dai carabinieri.

Dopo quel giorno, il cugino di mia madre che per comodità chiameremo con il suo nome di battesimo, cioè Elia, per protesta, tutte le volte occupa la cabina elettorale per almeno mezz’ora. Tuttavia grazie al lavoro periodico del cugino Elia, il seggio del suo paese, dal punto di vista formale, è assolutamente impeccabile. Il pavimento dell’aula viene rivestito in laminato finto parquet montato a spina di pesce, sulle pareti viene montata una boiserie in noce nazionale al di sopra della quale opera una tinteggiatura colorata nel pieno rispetto della par condicio. Alle pareti appende alcuni olii di pittori locali, negli angoli mette installazioni di artisti d’avanguardia, affidando l’illuminazione ad applique a radenza e ad un lampadario centrale in policarbonato. Al posto dei freddi banchi, il cugino Elia pretende che vengano utilizzati scrivanie e sedie di design. Lui, in particolare, ha sempre un debole per i mobili del Bauhaus. E poi ci tiene all’eleganza: mai scrutatori in tuta da ginnastica.

Il cugino Elia ha anche disegnato delle cabine elettorali nuove, che fuoriescono finalmente dallo schema del parallelepipedo razionalista. Per le nuove cabine il cugino Elia si è ispirato ad un linguaggio architettonico più contemporaneo, linee ondulate e fluttuanti senza dimenticare l’uso di materiali moderni nel rispetto dell’ambiente e del consumo energetico. Secondo il cugino Elia, per votare nel massimo del confort fisico e mentale, occorrono cabine molto accoglienti. E anche musica di sottofondo: lui sceglierebbe Mozart ma siccome si tratta di elezioni nazionali, va bene anche Allevi.

Quando è tutto in ordine il cugino Elia entra in cabina per votare. Nel suo incurabile perfezionismo egli ritiene che la scheda elettorale sia di una sciatteria grafica insopportabile. Per questo gli occorre almeno mezz’ora. In cabina il cugino Elia porta sempre con sé una stilografica a china e una scatola di colori ad alcool con i quali prova a migliorare tutti i simboli. Se c’è spazio ne aggiunge qualcuno nuovo lui. Non importa che questo annulli il voto: il cugino Elia ci tiene che la sua scheda sia graficamente impeccabile. Ancora oggi, a tanti anni di distanza va fiero di come, nel 1987, migliorò il simbolo del partito repubblicano. Lo spedì anche alla sede del partito, all’attenzione dell’allora segretario Ugo La Malfa, ma senza ottenere risposta. Finora.

All’inizio il cugino Elia firmava pure la sua scheda, adesso non ce n’è più bisogno, tutti sanno che quella, la scheda più bella, è del cugino Elia. Lui assiste infatti a tutto lo scrutinio solo per il momento in cui, lo scrutatore, alzerà al cielo la sua scheda mostrandola bene a tutti, urlando “Nulla”.

Secondo la teoria del cugino Elia, se le elezioni fossero formalmente più belle, cioè esteticamente più curate, l’astensionismo sarebbe molto più basso. Tutti si recherebbero volentieri al seggio per vedere l’allestimento nuovo, le soluzioni di arredo, respirare l’atmosfera e rubare qualche idea. Se ci fosse anche un buffet, come ai vernissage del salone del mobile, l’affluenza sarebbe del 100%.

In questa campagna elettorale si è parlato di molte cose, ma la parola “architetto”, o il suo corrispettivo “architettura”, non l’ha pronunciata nessuno. Anche la bellezza in generale è un tema che non interessa molto. Prima di augurarsi di cambiare le cose con una ics nella cabina, bisognerebbe provare a fare qualcosa di bello fuori, tutti i giorni.

Ho telefonato al cugino Elia l’altroieri, lui rimane un inguaribile sognatore, mi ha assicurato che anche quest’anno proverà a restituire un minimo di dignità estetica al seggio del suo paese.

Per quella etica purtroppo neppure il cugino Elia, può far niente.

[P.S. Addio a Gillo Dorfles, una vita intera spesa (invano ?) ad insegnarci cosa sia il “bello”].

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