L’architettura in fondo è come il cibo, l’unanimità è quasi impossibile.
L’unico piatto che mette tutti d’accordo è la pasta al gratin.
Per questo anche l’architetto, se è in cerca di successo e consensi, deve proporre la pasta al gratin.
E’, infatti, inutile che l’architetto provi a somministrare dosi minimaliste di prospetti simmetrici o gocce di citazioni dei maestri in dosi omeopatiche. Vano l’adeguamento allo stile rustico, o la ripida ascesa fino al kitch del lusso: l’architetto esperto sa che l’unico piatto che troverà il consenso di ogni palato sarà la pasta al gratin, anzi l’architettura al gratin.
L’architettura al gratin è la nuova tendenza del XXI secolo, un prodotto relativamente recente, nato sull’accumulo ed il riciclo di tutte le ideologie del novecento. Era tanta roba e non abbiamo buttato via niente. Pezzi di architettura organica, fette di razionalismo, confezioni di neoliberty e litri di high tech frizzante, con il tempo temevamo andassero a male e puzzassero, allora li abbiamo stipati in enormi frigoriferi. Alle facoltà di architettura, insegnanti brizzolati, vecchie cariatidi e giovani raccomandati, tirano fuori dal frigo gli ingredienti che più li rassicurano e li servono agli inconsapevoli studenti, che, nel frattempo, possono allenare lo stomaco.
Forse non è noto che tutti gli architetti custodiscono nel retro del loro studio un grande frigorifero. Di solito incastrato tra pile di vecchie riviste e pratiche per i rimborsi del terremoto. Ci stipano gli avanzi e i loro sogni, che tecnicamente sono anch’essi degli avanzi.
Come a tutti i comuni mortali anche agli architetti avanzano sempre dei maccheroni, mezze ricottine, uova sode, qualche fetta di prosciutto, latte appena scaduto.
L’architetto potrebbe andare al supermercato delle idee, fare una bella spesa, imporre il made in Italy (che poi sarebbe come una specie di genius loci), ma chi capirebbe ?. E poi quanto costerebbe questo menù raffinato, questa professionalità ? Chi pagherebbe il giusto per un impiattamento ricercato ?.
Inoltre c’è il fastidio della troppa concorrenza: troppi pomodori cinesi, tanti surgelati spacciati per prodotti freschi. E allora l’architetto vuota il suo frigo, utilizza quello che gli avanza: mischia un po’ tutto insieme ed inforna a 180 gradi per il tempo che ci vuole.
Quando arriva l’utente medio, dalla cucina degli architetti vengono fuori splendide porzioni di architettura al gratin. L’architetto la tira fuori dal forno, ancora bella calda. Fa una bella fetta di pasta al gratin di architettura e la mostra al cliente, in sezione si noterà bene il corpo strutturale, solitamente maccheroni, il leggero strato culturale del formaggio, l’esterno ben gratinato della crosta e i particolari nei dadini del prosciutto.
Il cliente medio assaggia ed in genere apprezza quest’abbondanza gustando bene il sapore nazional popolare. E infatti le città sono piene di architettura come pasta al gratin.
All’architetto resta solo la possibilità e il gusto di fare la besciamella, che è l’unica cosa che non viene fuori dal frigo già pronta. Se non ci fosse la besciamella l’architettura al gratin sarebbe veramente tutta uguale.
C’è chi la propone liquida, chi densa e granulosa, comunque una buona besciamella di chiacchiere, raccomandazioni e pubbliche relazioni, rende digeribile qualsiasi architettura.
L’unica variante all’architettura al gratin è l’architettura a lasagna.
Entrambe vuotano il frigo, ma la lasagna è più ricca, si usa a Carnevale o quando si vuole esagerare, tipo per vincere un concorso o per stupire un politico.
Qualche anno fa l’architettura a lasagna andava di più, ora c’è crisi.
Ci sono architetti che lavorano molto su progetti per lasagne già cucinate e servite, “riconversioni” le chiamano. Ogni tanto qualche lasagna la buttano giù. Altre diventano monumenti e vengono vincolano. Ma generalmente si tratta di roba del passato.
Oggi l’architettura è tutta pasta al gratin.
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