In architettura il peso è stato sempre una delle variabili più importanti da valutare, ma contemporaneamente molto complessa da misurare.
L’unità di misura del peso sarebbe il Newton, ma si tratta di una misura che non gode di molta popolarità. Infatti viene utilizzata solo da vecchi nostalgici professori di fisica o da ricercatori universitari che vogliono acchiappare studentesse impaurite.
Un’architettura si può pesare in chilogrammi se è molto piccola, oppure in chilogrammi su metro quadro se è di grandi dimensioni, ma in questo caso si litiga sempre su quale metro quadrato scegliere come riferimento e non ci si mette mai d’accordo.
Solitamente il peso dell’architettura prima di essere sopportato dalle città, viene sostenuto dagli operai addetti al trasporto a spalla dei materiali da costruzione, solo che loro non lo sanno, credono sempre di trasportare sacchi di cemento o laterizi.
Comunque non è mai il caso di chiedere ad un manovale, durante il massimo sforzo, quanto pesa quell’architettura, perché è molto probabile che vi risponda malissimo.
Alcuni pesano l’architettura “ad occhio” facendo affidamento alla propria esperienza: il mio insegnante di costruzioni all’istituto per geometri valutava così anche le opere di sostegno, bypassando istantaneamente 15 secoli di scienza delle costruzioni. Altri, meno esperti, chiedono il parere di presunti intenditori chiamati “critici”, altri ancora provano a conoscere il peso dell’architettura assaggiandola un pezzo alla volta, nella speranza di farsela piacere.
Anche per questo quando un’architettura è particolarmente indigeribile si dice che sia davvero pesante.
Secondo alcuni studiosi, qualsiasi architettura, anche la meno commestibile, assaggiata tutti i giorni, di passaggio o per forzato stazionamento, alla fine diventa assimilabile, perché sia gli occhi che lo stomaco sono capaci di abituarsi a tutto.
Talvolta illustri scrittori, redattori di giornali o politici, provano a farci sembrare leggere, architetture assolutamente indigeste. Capita che studiosi o addetti ai lavori, dietro tornaconto economico, giudichino deliziose architetture intollerabilmente pesanti.
Questo fenomeno, piuttosto frequente, viene chiamato “attenta analisi” o in caso di fulmineo cambiamento di idea: “brillante ravvedimento”.
Viceversa, un’opera particolarmente effimera, di solito dove c’è grande scialo di vetrate e bucature, viene definita leggera. Architetti preoccupati dal giudizio altrui, definiscono subito, preventivamente, la propria opera “leggera”, a scanso di equivoci. Alcune architetture nascono pesanti, ma poi per problemi contingenti vengono messe a dieta ferrea e diventano lievissime, come una ballerina di fila. Solitamente le architetture leggere piacciono molto alle soprintendenze e agli ambientalisti, che, potendo scegliere, comunque non le avrebbero neanche realizzate, lasciando al loro posto un prato.
Geneticamente da un architetto pesante nascono architetture pesanti e da un architetto leggero, nascono leggere. Algebricamente invece due architetti leggeri uniti insieme generano architetture ugualmente leggere, mentre unendo due architetti pesanti solitamente si genera una lite.
Molti architetti contemporanei italiani non riescono a sopportare il peso dell’architettura e ne restano vittima, per questo si danno all’arredamento o aprono un ristorante; in altri casi, specie quelli a partita iva, più che dal peso dell’architettura rimangono schiacciati da Inarcassa, burocrazia e simili, ma questo problema riguarda solo marginalmente l’architettura dal punto di vista estetico.
Oggi in Italia non si da molto peso all’architettura, ma paradossalmente, proprio l’architettura spesso viene considerata un peso del quale liberarsi.
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