LE ISOLE EOLIE ALLE OLIMPIADI

C’è un solo punto, nel mare, da dove si possono vedere contemporaneamente tutte e sette le isole Eolie.

Si trova poco al largo del molo di Ponente dell’isola di Vulcano. Prima di entrare in porto, il conducente del barcone rallenta leggermente e indica le sette isole. La conta dura meno di un minuto. Panarea spunta appena dietro il promontorio di Vulcanello e anche Stromboli si intravede appena sullo sfondo.

Alle spalle, Lipari sembra enorme, forma quasi un tutt’uno con Salina. Lontane, alla deriva, sull’orizzonte, ci sono Filicudi che ha la forma di un cono corto dalla base molto larga e, ancora più distante, un piccolo scoglio sull’acqua: Alicudi. Sembra un miraggio.

Sulla sinistra, lunghissima, una striscia di terra che non appartiene a questo arcipelago, pare un altro mondo: è la Sicilia.

Le luci del porto di Milazzo, il profilo piatto e poi l’altura dell’Etna da dove spunta un rivolo di fumo. Quello si vede sempre piuttosto bene.

La Sicilia è ingombrante. Se non fosse così, le Eolie potrebbero essere uno stato indipendente.

Non è un’idea bizzarra: potrebbe essere una nazione a sé come quegli atolli dell’oceano Pacifico dei quali ce ne ricordiamo l’esistenza solo durante la cerimonia di inaugurazione delle olimpiadi, quando sfilano non più di una decina di atleti dietro ad una bandiera esotica. E il telecronista ci dice il nome di questa terra sconosciuta, dispersa nell’oceano.

E immancabilmente pensiamo che sarebbe bello mollare tutto e andarsene a vivere in quella nazione con la bandiera strana, dove, nella nostra immaginazione vivono in costume e ciabatte e ridono e ballano tutto il giorno.

Perché loro si e le Eolie no ?.

Eolie. Arcipelago delle Eolie” griderebbe il telecronista dei giochi olimpici, facciamo del 2032 (diamo alle carte bollate il tempo di fare il loro corso). Un pugno di atleti, quasi tutti nuotatori immagino, ma anche tuffatori o persino mezzofondisti, sfilerebbero dietro una bandiera che nessuno conosce perché è stata inventata poco prima, così come l’inno nazionale che probabilmente non sarà necessario suonare, ma, siccome non si sa mai, è stato composto in fretta per l’occorrenza.

Sfilano gli Eoliani tra quelli degli Emirati Arabi che li precedono con i loro turbanti bianchi e i sudamericani dell’Equador che li seguono curiosi. Fanno amicizia con gli altri isolani: con quelli delle isole Saint Kitts and Nevis, Cook o Samoa. Si sentono giganti accanto agli olimpionici delle isole Marshall o delle Cayman.

Il portabandiera sarà il giovane tuffatore Fabrizio, l’ho incontrato oggi sul pontile del molo di Vesuvio. Ha 10 anni e fa già la capriola da fermo. Passa tutto il giorno con gli amichetti a tuffarsi. Quattro, cinque ragazzini iperattivi che si fermano solo quando i barconi accostano alla banchina. Anche gli amichetti sono bravi, ma Fabrizio di più, si vede che ha talento. Forse ha persino un sogno importante.

Nel 2032 Fabrizio avrà 25 anni, un’età perfetta per un atleta maturo. In lui saranno riposte tutte le speranze di un discreto piazzamento per gli Eoliani. Sarebbe bello già vederlo in televisione, in diretta sul canale dedicato. Credo gareggerà dalla piattaforma, ma magari anche dal trampolino, se ne troverà presto uno sull’isola per iniziare ad allenarsi.

Siamo ripassati per quel punto in mezzo al mare. Il conducente non ripete più la storia. E’ un attimo: accelera e le sette isole non si vedono più tutte insieme.

Laggiù i ragazzini continuano a tuffarsi.

Coraggio, Fabrizio, tuffati. Che non si sa mai.

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