Quando sostengo che l’architetto fa un “ponte”, è evidente che mi riferisco ad un ponte metaforico tra due festività, cioè quella pratica che consente di non lavorare anche durante un giorno feriale, incastrato tra festivi. D’altronde di ponti veri in Italia se ne fanno pochi, solo se è necessario, cioè quando, ad esempio, crollano.
In realtà gli architetti non riescono a fare neanche i ponti metaforici costretti da qualcuno o qualcosa a lavorare, come se il mondo congiurasse contro di loro.
Ecco cinque motivi, più o meno validi, che obbligano l’architetto a lavorare anche durante il giorno del “ponte”.
1) Il piastrellista può venire solo quel giorno là. Nel mondo contemporaneo le principali figure mitologiche sono tre: lo Yedi, il mostro di Lockness e il piastrellista. Si tratta di creature delle quali si ha una consapevolezza approssimativa: molti sostengono di averli visti e conoscerli ma si tratta di testimonianze sempre poco attendibili. Solitamente su un cantiere, quando l’architetto chiede quando arriverà il piastrellista, il capomastro inspira profondamente abbassa lo sguardo e suda. Alla fine balbettando dice all’architetto che proverà a chiamarlo per vedere se può venire “entro la settimana prossima”. Questa promessa viene puntualmente disattesa, tanto che il cantiere continua ad avanzare, se può, sempre in attesa di questo celeberrimo piastrellista. Finché si arriva al “ponte” ed ecco che il capomastro, giusto il giorno prima, intorno alle 22/22.30, avverte l’architetto con un messaggio laconico che non lascia spazio a contestazioni: “il piastrellista viene domani”.
2) Il sopralluogo dei carabinieri. Ritengo che i carabinieri non abbiano nessuna voglia di perseguitare architetti attraverso istanze di spiegazioni e gite sui cantieri, ma purtroppo sono obbligati a farlo dalle richieste dei simpatici vicini dei committenti che tengono d’occhio i lavori, molto meglio di quanto la CIA sorvegli la Corea del Nord. Ovviamente i carabinieri, che non posso concedersi il lusso del “ponte”, possono comparire da un momento all’altro fuori dalla recinzione dei lavori, anche la mattina del giorno del “ponte”. A quel punto, l’architetto viene immediatamente rintracciato grazie al cartello posto all’ingresso (chiarendo a tutti a cosa serva appunto quel cartello) e invitato a comparire velocemente ovunque esso si trovi. (vale anche per i vigili, ma un po’ meno perché il vigile, se può, il “ponte” lo fa).
3) La visita del finto-cliente: Una grossa ingenuità che può commettere l’architetto il giorno del “ponte” e di passare giusto un attimo, magari di mattina presto, per lo studio a prendere “una cosa”, oppure a mandare una mail. Si tratta di un errore imperdonabile perché gli scienziati hanno dimostrato che, anche se l’architetto transiterà per lo studio solo per 3 minuti, sarà proprio durante quei 3 minuti che riceverà la visita del più temibile finto-cliente vivente appartenente alla pericolosissima categoria dei C.A.G.C.A.Z. (di cui abbiamo già parlato in un articolo precedente – leggi qui). Nonostante gli affannosi tentativi, l’architetto non riuscirà a liberarsi del finto-cliente di cui sopra prima di mezzogiorno, ovvero a “ponte” oramai compromesso.
4) Il capomastro che deve fare i conti: Una delle condanne più feroci per un architetto è doversi occupare di fare i conteggi per ditte edili che non hanno in dotazione neanche uno straccio di geometra capace di effettuare una serie di moltiplicazioni. A quel punto il capomastro, disperato, chiede l’aiuto dell’architetto consapevole che se non viene pagata la ditta non lo sarà neanche lui e allora, generosamente, anche se nessuno mai gli ha dato l’incarico prova a fare chiarezza in un quaderno di appunti, che neanche il più bravo degli egittologi tradurrebbe. E’ un lavoro infame, usurante, che deteriora anche le migliori menti. Questa operazione, ovviamente, va fatta con urgenza, a volte di Domenica, altre volte precisamente il giorno del “ponte”.
5) Il giro all’Ikea: Se l’architetto ha in dotazione una moglie/marito o una compagna/o, allora proprio il giorno del “ponte” riceverà la richiesta pressante di fare un giro all’Ikea. Se viceversa è single la richiesta gli arriverà da qualche parente: madre, padre, cugino/a, zio/a oppure da qualche amico in procinto di sistemare casa e bisognoso di consigli (gratis). Chi conosce l’Ikea sa che anche il più breve dei giri, dura dalle 2 alle 4 ore. C’è chi all’Ikea si diverte, che ama fermarsi a pranzo per le polpette svedesi, chi nonostante la folla si rilassa e chi è entusiasta perché ha sempre voglia di vedere cose nuove. Viceversa per l’architetto, per le domande alle quali dovrà rispondere e per le soluzioni che dovrà inventarsi, il giro all’Ikea è assimilabile ad una giornata di duro lavoro. Sappiatelo. (vale anche per altri grandi magazzini omologhi tipo Leroy Merlin, Brico, Maison du Monde ecc.).
Tuttavia l’architetto può salvare il suo “ponte” rendendosi irreperibile: ma, per essere sicuro, non solo al cellulare, anche al campanello della porta e al citofono.
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