BREVE STORIA DELL’ABITAZIONE ATTRAVERSO LE CASE DEI CARTONI ANIMATI (SECONDA PARTE)

Continuiamo il nostro studio dell’abitazione attraverso le case dei protagonisti dei cartoni animati.

Per leggere la prima parte dell’articolo clicca qui.

Eravamo giunti nel XIX secolo con la classica residenza coloniale del nord America (casa di Anna dai capelli rossi). Ora ci spostiamo in Europa, avvicinandoci ai nostri anni (clicca sulle foto per ingrandirle).

6)     La casa di montagna. Fine XIX secolo – Heidi

casa di heidi
Rifugio-Pirovano-Albini

La mutata percezione dell’ambiente di montagna spinge gli architetti ad occuparsi del tema del rifugio alpino intorno al primo ventennio del novecento ispirandosi, chiaramente alla casa di Heidi, anzi del nonno di Heidi, situata sulle alpi svizzere. Questa può essere classificata come una abitazione isolata di montagna costruita con la classica tipologia del Rascard, ovvero su un basso basamento in pietra o terreno, viene realizzata una costruzione quadrangolare in legno di larice o abete con assi intrecciati. Il tetto veniva realizzato con forte pendenza per resistere al peso della neve, mentre, usualmente una piccola appendice esterna aderente alla casa veniva destinata come legnaia o ricovero degli animali. Nel caso di specie, l’arrivo di Heidi costringe il nonno ad operare un recupero abitativo del sottotetto, in sfregio alle norme urbanistiche non possedendo questo nè l’altezza media sufficiente, né il rapporto aeroilluminante di 1/8. Per non parlare delle condizioni igienico-sanitarie del tutto insufficienti. L’appendice esterna invece era notoriamente utilizzata come stalla per l’alloggio del cane Nebbia e delle caprette Diana e Bianchina, quest’ultime sfrattate dal sottotetto proprio a causa dell’arrivo di Heidi.

Alla casa di Heidi si sono ispirate diverse architetture del novecento, la più famosa è senza dubbio il rifugio Pirovano di Franco Albini a Cervinia del 1946 (nella foto a destra).

7)    La casa proletaria – 1950-1975 – La famiglia Mezil

mezil3
casilino

Negli anni della guerra fredda, oltre la cortina di ferro l’urbanizzazione procede per grandi blocchi edilizi da destinare ad alloggi per il popolo. Si tratta dei famosi quartieri operai di staliniana memoria. La tipologia è quella del blocco edilizio aggregato, sul modello che, successivamente, ispirò anche alcuni quartieri popolari italiani come il Gallaratese a Milano o il Casilino “23” a Roma di Quaroni del 1970  (nella foto).  La famiglia Mezil è il prototipo della famiglia proletaria cresciuta in regime di partito unico comunista nell’Ungheria degli anni ’60 ed alloggiata in un tipico “Brezhnevki”, fabbricato anonimo tra i 9 e i 17 piani tipico dell’Unione Sovietica del dopoguerra. Nella prima delle tre serie, le avventure dei Mezil si svolgono principalmente nel loro appartamento arredato con asciutta frugalità in linea con la classe sociale degli occupanti

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Sandor Mezil, il capofamiglia, è infatti un impiegato di bassa qualifica, in attesa di un improbabile promozione.
Tuttavia la tipologia edilizia è fondamentale in quanto è proprio la particolarità del lastrico solare in copertura, tra antenne tv e fumaioli, a dotare il figlio Aladar di una rampa di lancio per la sua astronave gonfiabile con la quale raggiungerà pianeti ignoti.

8)    La villa urbana – anni ’80 – Doraemon

doraemon
vicenza_palladio_and_prosecco

I manga giapponesi con i loro protagonisti hanno inflazionato il repertorio visivo di un’intera generazione di ragazzini che, ora quarantenni, sono convinti che un pallone da calcio possa deformarsi come una banana a causa di un tiro particolarmente violento. Le loro abitazioni rappresentato un repertorio di esempi di case d’architettura che meriterebbe una pubblicazione specifica. Tra le tanti abitazioni quella che maggiormente rappresenta il modello giapponese miscelato con i canoni occidentali è sicuramente la casa di Doraemon, il gatto blu con la tasca quadridimensionale sul davanti. Esternamente sono evidenti echi palladiani (nella foto “La Rotonda” di Andrea Palladio), con una pianta centrale cruciforme con logge sormontate da timpani disposte sui quattro lati. Gli interni viceversa sono del tutto orientali, con porte in carta di zucchero e tatami disposti sul pavimento.
Ma quello che stupisce è il rapporto tra gli spazi, cioè cosa se ne farà di una casa così grande una famiglia con il padre sempre fuori per lavoro, una donna un bambino e un gatto ? Questo ci conferma che in Giappone negli anni ‘80, non si pagava l’IMU.

4)    La casa borghese americana – fine XX secolo – I Simpson.

simpson

La casa dei Simpson (così come quella praticamente identiche dei Griffin o degli American dad) rappresenta un modello urbanistico tipico delle cittadine americane con abitazioni disposte parallelamente a grandi viali carrabili. Lo schema è quello del bilocale, disposto su tre livelli più il sottotetto con garage esterno. Come si osserva dalla planimetria, il piano terra è dotato di cucina, sala da pranzo, un lungo soggiorno, una camera dei giochi e un disimpegno dal quale si accede al piano superiore. Da un’altra scala si va invece alla taverna interrata. Al primo livello ci sono tre camere da letto e due bagni. In alcune puntate si scopre che i Simpson hanno anche un sottotetto adibito a deposito. Particolare attenzione va posto allo spazio esterno, con il recinto che contiene un piccolo prato e il garage per il parcheggio dell’autovettura (a volte anche due). Spesso nelle avventure dei Simpson viene mostrata l’importanza della porta sul retro che è un elemento fondante della cultura americana ed è presente anche in molte serie televisive tipo Fonzie e Sanford & son. Particolare interessante, nonostante la grandezza della casa, non esiste una camera da destinare alla piccola Maggie, è probabile che, quando ce ne sarà bisogno, Homer effettuerà un ampliamento di volume grazie al Piano Casa di Springfield

5)    La casa del futuro – XXX secolo – Futurama

futurama

In un futuro prossimo, precisamente nel 3000, le abitazioni avranno caratteristiche formali e funzionali

del tutto differenti e l’abitazione dei protagonisti di Futurama lo testimonia. Le case adotteranno schemi futuristici stravaganti ai quali, comunque, gli architetti contemporanei si sono già timidamente avvicinati in alcuni esperimenti più o meno noti come ad esempio la “Futuro house” di Suuronen del 1970 (foto a destra) o in Italia la casa del Portuale di Aldo Loris Rossi del 1968-80 a Napoli (foto in basso). Il modello si ispirerà chiaramente al veicolo di spostamento più utilizzato, cioè l’astronave, che adotterà tutte le tecnologie possibili in pratica ciò che oggi chiamiamo casa domotica.

futuro house

casa del portuale

L’elemento architettonico caratteristico sarà la torre delle comunicazioni già tanto cara ad esempio a Santiago

Calatrava e a quelli di radio Maria. L’innovazione più importante sarà quindi l’adozione per il passaggio da qualsiasi ambiente ad un altro, della porta automatica con fotocellula, oggi in uso solo al supermercato e nelle sale scommesse di lusso. Quello che non verrà risolto sarà il problema dei cavi aerei, che nonostante le richieste di interramento degli ambientalisti continueranno ad attraversare le nostre città. A seconda dei casi, l’abitazione del futuro potrà anche volare, questo agevolerà i celeberrimi viaggi senza spostarsi da casa.

P.S.: Menzioni speciali per la casa dei Barbapapà sulla quale ha già magnificamente relazionato Guido Aragona qui su presstletter e per Lady Oscar che abitava niente poco di meno che nella Reggia di Versailles.

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