L’ARCHITETTO ITALIANO E’ UN ORFANO

receptionGrazie alla sua proverbiale duttilità, anche d’animo, l’architetto italiano, ovunque vada, può assumere caratteristiche diverse. In Cina può divenire ad esempio imprenditore, in Patagonia esploratore, in America pioniere, magari in Danimarca sperimentatore e alle Cayman, se ce la fa, evasore.

In Italia, invece, l’architetto italiano, è sempre un orfano.

Dal latino Orphànus ovvero “privo” di qualche cosa, quindi, non solo nel senso tradizionale del termine. Anzi il possesso di uno o più genitori è sempre gradito, soprattutto in Italia e ad una certa età, per il pagamento del bollo auto o lo stiraggio delle camicie. Oppure, meglio ancora, se il genitore occupa una cattedra universitaria, una sedia al ministero o dirige un grosso studio. In questi casi, l’architetto italiano, non è orfano, non lo è lui e probabilmente non lo saranno neanche le sue successive due generazioni.

Esclusi i casi di cui sopra, l’architetto italiano, è miseramente orfano. Una condizione alla quale, per precisione, aggiungerei anche il requisito di “indipendente”, dunque l’acronimo giusto diventa AIIO (Architetto Italiano Indipendente Orfano).

L’AIIO si accorge, in numerose circostanze, di essere orfano.

“Orfano di origine e di storia, di una chiara traiettoria, di tempo e silenzio, dell’illusione, di uno slancio, di valide occasioni (…)”

Durante una campagna elettorale ad esempio, dove si promette tutto a tutti ma a lui mai niente. Ma anche dopo le elezioni, l’AIIO viene escluso da tutti i decreti legge, dalle riforme sulle pensioni e anche dall’ormai tradizionale bonus di 80 euro. Se l’AIIO tenta l’approccio in banca per la richiesta di un mutuo o di un prestito viene trattato come un mendicante. Se si ammala sono cavoli suoi, se è donna e aspetta un figlio, tanti auguri.

Anche da spettatore la vita dell’AIIO non è semplice. Sui giornali o in televisione nessuno parla di lui, a volte altri architetti scrivono elzeviri complessi o appaiono in trasmissioni alle 7 del mattino, ma sempre sistemati su un pulpito così alto che si capisce subito che non si tratta di orfani.

In società e sul lavoro il rapporto con gli altri esseri umani non è facile. Nei confronti di qualsiasi tipo di committenza, pubblica o privata, l’AIIO ha argomenti poco validi. Quando lui parla di riqualificazione ambientale, l’altro parla di metri quadri calpestabili. Se si azzarda a proporre un sistema di trasporto sostenibile viene subito zittito dall’idea di un parcheggio multipiano. Dove lui vuole piantare degli alberi o sistemare delle panchine c’è chi vede subito una rendita per locazione. Peggio gli va se prova a citare schemi o tipologie di scuola, gli unici modelli che gli vengono riconosciuti come validi sono la balconata, la tettoia-gazebo in giardino, la cornice in prospetto e la colonna con capitello un po’ dappertutto, tipo il castello del “Boss delle cerimonie”.

In questo caso è ben chiara la sua condizione, culturale, di orfano.

“di partecipazione, di una legge che assomiglia all’uguaglianza, di una democrazia che non sia un paravento”

Ma, senza nessun dubbio, il luogo dove la condizione dell’AIIO diventa più drammatica è nelle sale d’attesa di certi uffici, principalmente pubblici, quali comuni, regioni, soprintendenze ecc..

L’AIIO deve riconoscersi subito perché già l’usciere, se c’è, lo tratta con un distacco infame.

Lo invita ad accomodarsi su divanetti in finta pelle o sedie scomodissime e ad attendere il suo turno. Se l’AIIO prova a chiedere quanto tempo dovrà aspettare o a protestare perché ha un appuntamento, viene guardato con compassione dai presenti. Questo perché il tempo dell’AIIO non ha nessun valore, può aspettare dai 20 ai 180 minuti senza che nessuno si preoccupi di lui, come se si trattasse di un pianta ornamentale o di un armadio-archivio. Nel frattempo lo sorpassano in tanti: funzionari, politici, tecnici non bene identificati, che saltano l’attesa: si tratta ovviamente di gente non orfana.

Intanto l’AIIO pazientemente aspetta che qualcuno lo chiami e lo faccia entrare, ma il suo turno non arriva mai (perché è orfano), intanto è costretto ad annullare tutti gli altri impegni senza contare che gli scade il grattino al parcheggio e teme il verbale.

Quando finalmente arriva il suo turno, l’AIIO all’interno della stanza trova sempre un interlocutore che va di fretta o che lo tratta malissimo o entrambe le cose e al quale l’AIIO non può rispondere come sarebbe adeguato, perché lui è orfano, appunto, mentre l’altro ha una solida famiglia alle spalle. Propongo l’istituzione immediata dell’opera nazionale per l’assistenza e la difesa dell’architetto indipendente orfano: l’ONADAIO; con compiti di sostegno soprattutto psicologico.

A volte, infine, può capitare che l’AIIO si proponga come figlio adottivo, offrendo gratis il suo lavoro, con la concreta speranza di essere coinvolto successivamente. Alla parola “gratis” ogni funzionaretto, politichetto e tecnichetto di ogni ufficietto, immediatamente apre una pratica di adozione per l’AIIO, che entra, temporaneamente, in una nuova affettuosa famiglia, che si prende cura di lui con continue telefonate, richieste di consulenze e appuntamenti urgenti senza sala d’attesa.

Tutto questo affetto dura fino al momento in cui, grazie al lavoro dell’AIIO, arrivano i fondi e bisogna assegnarli.

E’ in quel preciso istante che l’AIIO torna ad essere, quello che è sempre stato: un orfano.

“di onore e dignità, misura e sobrietà”

 

Le parti in corsivo sono tratte dal testo di “Una buona idea” (di Niccolò Fabi)

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