I 5 MISTERI PIU’ OSCURI PER UN ARCHITETTO

sifoneGli architetti, prima di diventare tali, superano un numero sconsiderato di esami universitari, ai quali si aggiunge quello per l’esercizio della professione, per poi scoprire improvvisamente di non sapere niente di veramente utile. Questo dramma viene combattuto riconsiderando, poco per volta, il concetto di conoscenza e con l’acquisizione progressiva dell’esperienza. Tuttavia esistono almeno cinque misteri che un architetto, per motivi genetici, da solo non sarà mai in grado di risolvere e che, purtroppo, si ripropongono piuttosto frequentemente nella sua attività lavorativa.

Ecco la classifica dei cinque misteri più oscuri per un architetto:

Al quinto posto: La lesione – Nel mondo fatato degli architetti, l’eventualità che, improvvisamente, un edificio possa mostrare un segnale di cedimento, non esiste. Non è contemplato. Gli edifici possono essere curvi, sghembi, organici, razionali, costruttivisti e decostruttivati, persino mimetizzati, ma mai lesionati. Siccome non è previsto dal codice degli architetti, questi, interrogati su qualsiasi tipo di lesione apparsa su una parete, rimangono basiti come il turista giapponese dinanzi alla ”Pietà Vaticana” di Michelangelo. A questo punto l’architetto si accerta prima che la lesione sia comparsa su un divisorio, in questo caso si rasserena e tranquillizza l’interrogante. In caso contrario, innanzitutto, si allontana cautamente dai luoghi, dopodichè, cèreo in volto, dopo aver falsamente rassicurato tutti, chiama un ingegnere.

Al quarto posto: La macchia d’umidità – Se chiedete ad un architetto cos’é l’umidità, forse, potrà dirvi che è “la quantità di vapore acqueo espressa in grammi contenuta in un metro cubo d’aria”, tuttavia se gli sottoponete una macchia che scurisce l’intonaco della cucina, questi rimarrà con lo sguardo perso nel vuoto. Di solito l’architetto al quale si chiede per quale motivo è comparsa la macchia sull’intonaco, risponde con la frase d’ordinanza: “ci sarà una perdita al piano di sopra” (anche se la macula non è sul soffitto). Tesi che puntualmente non avrà il coraggio di sostenere quando verrà convocato quello “del piano di sopra”. Altra frase molto utilizzata, poichè sbrigativa, è: “si tratta di condensa”. In presenza di efflorescenze o muffe, l’architetto può anche rifiutarsi di intervenire ed invocare l’intervento dei NAS. Ma la frase che tutti gli architetti, in presenza di una chiazza d’umido, sognano di dire è: “questo è salmastro” e dirlo con un espressione rassegnata e mistica come il prete mentre pratica l’estrema unzione. Questo perchè il salmastro è un fenomeno misterioso, per il quale apparentemente non c’è soluzione, tranne quella di intervenire radicalmente su tutte le pareti del palazzo e forse anche del quartiere. Di solito, in questi casi ogni problema, dalla perdita al salmastro, viene risolto da un geometra.

Al terzo posto: Il sifone – Il sifone è stato eletto, simbolicamente, simbolo di tutti i misteri legati alla scienza dell’idraulica che regola il funzionamento dei bagni in un abitazione. Come fa l’acqua a restare sempre allo stesso livello ? Come mai non viene su la puzza ? Dove va posizionato un sifone ? E con lui tutte le cassette di scarico, le tubazioni, le chiavi d’arresto, le braghe, oggetti assolutamente misteriosi per un architetto al quale hanno sempre insegnato a posizionare un bagno in qualsiasi posto della casa, senza preoccuparsi di altro se non dei “percorsi funzionali ed armonici della pianta”. Ma alla famosa domanda di un qualsiasi committente, tipo: “architè, ma se mettiamo il bagno qui, ce la facciamo con la pendenza per arrivare allo scarico ?”, si apre un mondo di interrogativi irrisolti che vanno dal principio dei vasi comunicanti alla previsione dei Maya. Per questo motivo, quando si parla di posizionamento dei bagni, l’architetto farebbe sempre bene a portare con sè un idraulico, anche apprendista va bene.

Al secondo posto: Il condominio – Le conoscenza giuridiche degli architetti si estendono su territori tanto vasti quanto inutili. Ad esempio apprendono ripetutamente il modello di calcolo dell’indennità risarcitoria per esproprio di pubblica utilità secondo la Legge di Napoli del 1885 o la suddivisione degli standard urbanistici in base alla Legge “Ponte” del 1967. Nel frattempo ignorano completamente il codice che dovrebbe regolare il l’80% delle controversie immobiliari: quello del condominio. Il pianeta terra, infatti, per chi non lo sapesse ancora, si divide in due grandi categorie: quello fuori e quello dentro un condominio. Fuori dal condominio i bambini giocano felici, ci si vuole bene, si sorride, ci si abbraccia e il sogno di tutti è sempre la pace nel mondo. Dentro, il filo dell’antenna che passa ad un metro dalla finestra di quello del piano di sotto, può scatenare una faida fratricida che può durare anche per quattro generazioni tipo “Bagnara Calabra”. Per questo motivo gli architetti dinanzi ad una lite condominiale possono fare solo una cosa: arrendersi. E consigliare un buon avvocato.

Al primo posto: La ricevuta con ritenuta d’acconto – Non è facile, così, in poche righe, su due piedi, spiegare cos’è la ritenuta d’acconto. Ci provo: si potrebbe dire che la ritenuta d’acconto è quella cosa che quando l’architetto pensa di aver guadagnato “100”, all’improvviso scopre che ha guadagnato “70” perchè l’altro 30 non gli e lo danno perchè viene versato direttamente all’Agenzia delle Entrate. E l’architetto ci rimane male, anche se gli viene spiegato, con tono rassicuratorio, che comunque lui avrebbe dovuto versarlo nelle tasse dopo, quindi non fa nessuna differenza. E invece la differenza la fa, perchè con quel “30” l’architetto voleva comprarsi, ad esempio, un paio di scarpe nuove, mettere un pò di gasolio nell’auto o ubriacarsi al bar con gli amici. Di conseguenza l’architetto impara che prima di calcolare un onorario, bisognerebbe sempre accertarsi che in fattura non ci sarà la ritenuta d’acconto. Questo è quello che ho capito io. Per tutto il resto si può chiedere ad un qualsiasi ragioniere.

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